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4 Maggio 2011

Come i sindaci del passato vedono il futuro: Paolo Salami

Continua la serie di interviste agli ex sindaci di Sassuolo. Successore di Riccardo Prini, Paolo Salami rimasto al governo fino al 1990, per un totale di soli 400 giorni alla guida della città. Una giunta anomala la sua, fatta di esponenti del Pc, repubblicani e dall’appoggio di alcuni dell’opposizione, che ha avuto ben poco tempo per mettere in pratica progetti personali di rilievo. Dopo la (breve) carriera politica, Salami si è dedicato alla vita privata e alla sua società di sviluppo grandi aree che lo tiene lontano da Sassuolo per parecchi giorni all’anno. Ma nonostante il continuo peregrinare per il mondo, Salami si dichiara ancora molto attaccato e tuttora attento a Sassuolo, città dove vive. Quali sono i principali interventi che ha dovuto affrontare e realizzato al momento del suo mandato, ci sono opere che oggi sono ancora fondamentali? “Diciamo che in così poco tempo non abbiamo fatto in tempo a fare danni particolarmente gravi alla città (ride), ma soprattutto non abbiamo avuto grosse opportunità di manovra a lungo termine. Il nostro è stato prevalentemente un lavoro di impostazione e pianificazione o di continuazione dei progetti dei miei predecessori, l’epilogo di una legislatura assai complessa. Nonostante tutto qualcosa di concreto comunque lo abbiamo fatto, come per esempio risanare il bilancio o completare opere pubbliche in un’ottica di ricomposizione della città. Ci siamo dedicati ai beni culturali come il palazzo ducale, la rocca e il centro storico. Ma non solo, abbiamo messo le mani anche sul piano regolatore, in particolare sulla volumetria e la cementificazione del territorio. Abbiamo migliorato la viabilità, e abbiamo continuato i lavori sull’autoporto e sul nuovo ospedale. Non ci siamo dimenticati della scuola e delle aziende, in particolare per quanto riguarda il Comitato iniziato con Meschiari. Insomma, ho un piacevolissimo ricordo del mio mandato, soprattutto per quanto riguarda il rapporto che avevo con la gente, tanto da rifiutare la mia indennità da sindaco”. Quali sarebbero oggi le sue priorità come sindaco? “La prima sarebbe lavorare sul corpo sociale di Sassuolo. Devo dire che sono rimasto molto indignato dai cartelli marroni con scritto “Sasòl”, quando in questa città di dialetti se ne sentono tantissimi. Sassuolo ha alle spalle una lunga storia di immigrazione dal sud e di integrazione, concentrarsi su un solo dialetto per me non ha senso. I cartelli mi sembrano una pericolosa tendenza all’isolamento. Sassuolo non deve chiudersi nella sua falsa sassolesità che di per se sarebbe sterile, ma dovrebbe fare in modo di amalgamare la società. Dovrebbe relazionarsi con i giovani, con le diverse etnie, le diverse religioni e unirsi agli altri comuni del distretto e lavorare di più sulle basi culturali. Anche perché le tante identità presenti sul territorio sono un valore e non un elemento di separazione. Anche sul discorso moschea: bisogna dare a tutti la possibilità di pregare. Altrimenti si rischia di infiammare ulteriormente la situazione esplosiva che già c’è e contribuisce ad allontanare dai problemi reali della gente. In questi ultimi anni, infatti, abbiamo assistito a una grave contrazione del benessere e dell’occupazione. Il periodo di difficoltà sarà ancora lungo e forse il distretto industriale non sarà più come prima. A maggior ragione occorre la rapidissima iniziativa di tutti quanti, cittadini, comuni e istituzioni insieme per mettere una pezza al deserto che imperversa nei villaggi artigiani. Sassuolo è una città importante, su cui vale veramente la pena di investire”.

Articolo di Silvia Dallari

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